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Via libera dalla Camera al ddl Lavoro. Il punto

3 maggio 2010 • News

Via libera dalla Camera al ddl lavoro. Positivo il commento di Luigi Angeletti: “Sono state accolte molte delle nostre indicazioni  – dice il leader della Uil – e un ruolo decisivo ha giocato anche l’avviso comune sottoscritto lo scorso mese di marzo. Con la istituzionalizzazione dell’arbitrato, ora i lavoratori hanno un’opzione in più per fare valere i loro diritti. Un’opportunità a vantaggio soprattutto di quei lavoratori che non sono tutelati da altre norme del nostro ordinamento.”

Il testo del provvedimento, approvato a Montecitorio giovedì scorso, dopo il rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, presenta modifiche significative proprio agli articoli citati dal Capo dello Stato (articoli 20, 30, 31, 32 e 50) e passa ora in discussione al Senato.

Nell’articolo 31 si legge che le parti possono affidare a un arbitro la soluzione di una controversia in caso di esplicita previsione al riguardo contenuta in accordi interconfederali o contratti collettivi, ma la clausola compromissoria non potrà essere pattuita prima che sia terminato il periodo di prova o, comunque, prima di 30 giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro. Inoltre, le parti davanti alle commissioni di certificazione possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato. Sempre secondo la versione dell’articolo 31 ‘licenziata’ dalla Camera, l’arbitrato irrituale (quello che consente al giudice di valutare secondo equità e quindi potendo derogare alle norme di legge) deve svolgersi non solo nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento (come già previsto dalla stesura originaria), ma anche nel rispetto dei ‘principi regolatori in materia di lavoro’ e dei principi derivanti da obblighi comunitari.

L’articolo 32 del provvedimento prevede che la comunicazione di licenziamento del lavoratore deve avvenire in forma scritta. E, in particolare, il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione scritta, o della comunicazione dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto a impugnare il licenziamento. Sempre secondo l’articolo 32, nei casi in cui, a seguito della violazione delle norme relative al contratto di lavoro a tempo determinato, sia prevista la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato, il datore di lavoro è obbligato a risarcire il lavoratore con una indennità onnicomprensiva da 2,5 a 12 mensilità, ridotta alla metà nel caso di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine nell’ambito di specifiche graduatorie. Indennità sì, quindi (eventualmente ridotte), ma niente sanzioni. Questa previsione si applica anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge.

Nell’articolo 50 il testo di partenza stabiliva che, in caso di vittoria del lavoratore e quindi di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, il datore di lavoro potesse risarcirlo con mensilità da un minimo di 2,5 a un massimo di 6 (escludendo qualsiasi soluzione della controversia che possa essere più pesante per l’azienda) qualora, però, il datore avesse offerto al lavoratore entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato. Nel testo ritoccato dalla Commissione si stabilisce qualcosa di più e cioè che il datore debba offrire al lavoratore anche un contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore di questa legge.

Dubbi di interpretazione permangono invece riguardo l’emendamento Damiano (Pd) su cui il governo è stato battuto in Aula. Si tratta di una modifica all’articolo sull’arbitrato in base alla quale le commissioni di certificazione devono accertare l’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie già insorte (e non che eventualmente dovessero insorgere). Un participio passato che, stando all’interpretazione del Pd, significa che le parti devono dichiarare se vogliono affidarsi a un arbitro non prima dell’insorgere di una controversia (come prevedeva il testo della commissione), ma solo dopo. Quest’interpretazione è stata però bocciata da governo e maggioranza che ritengono invece ininfluente la modifica.

 

 

(Fonti: sito Uil e Labitalia)

Testo aggiornato con gli emendamenti approvati in allegato.

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