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Lavoro Italiano

30 novembre 2019 • News

Costruzioni. Serve un cambio di paradigma ed una vera politica industriale.
Viviamo in un paese che appare sempre più fragile, confuso e debole, sospeso tra crisi economica e culturale, incapace di dare risposte ai suoi giovani e di affrontare i nodi critici che da più fronti emergono. L’Italia delle alluvioni e dei terremoti, dei ponti che crollano, dei 749 cantieri bloccati e dei grandi stabilimenti che chiudono, l’Italia delle inefficienze e degli scandali, dell’irresponsabilità e incapacità politica di pianificare soluzioni a lungo termine che guardino al futuro mentre rispondere alle emergenze non basta più ed il paese, soprattutto, è stanco.
Ovunque emerge chiara la necessità di innovare sul terreno fondamentale dei diritti e doveri. E anche nel nostro settore insorge l’urgenza di fare un discorso più ampio, che non si limiti allo sblocco di risorse ma coinvolga tutta una serie di temi legati alla qualità del lavoro parallelamente alla questione dell’efficientamento amministrativo.
La situazione che viviamo da anni sui cantieri e negli stabilimenti della filiera è sempre più caratterizzata da precarietà, lavoro irregolare, fuga dal contratto, lavoro nero, assenza di regole e diritti svenduti con un ritorno a logiche di un tempo che sembrava passato. Con tutto questo, ogni giorno, i nostri lavoratori si trovano a convivere e i nostri operatori a combattere in un settore che, invece, andrebbe sanato e rilanciato, potendo rappresentare la vera leva economica in grado di riavviare l’intero sistema produttivo grazie al suo valore anticiclico.
Oggi non possiamo ignorare che prima di tutto vanno date risposte immediate ed efficaci alle emergenze e tra queste, in primis, alle manutenzioni e messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti per evitare che si ripeta quanto accaduto quel tragico 14 agosto 2018 a Genova, come va dato un segnale forte alle aree colpite dal sisma del 2016, territori dove ad oggi, oltre alle tante promesse, la ricostruzione stenta a partire.
Le sempre più frequenti calamità naturali rendono necessario un deciso piano di messa in sicurezza del territorio italiano per evitare che le risorse vengano spese sempre di più per riparare i danni invece che per serio e pluriennale programma di investimenti orientati alla prevenzione.
Occorre puntare con decisone alla realizzazione in tempi celeri delle infrastrutture già avviate e istituire una regia che possa programmare i nuovi investimenti infrastrutturali guardando al futuro e al bene dell’intero sistema Italia. Non possiamo ignorare che da circa due anni si è verificato un fenomeno nuovo e senza precedenti quale la crisi dei grandi gruppi dell’industria delle costruzioni. Una crisi che è figlia di innumerevoli cause e concause, ma che ha bisogno di risposte concrete ed immediate affinché non si trasformi nel vero grande ostacolo alla ripresa del Paese. Una crisi che se, da un lato, trova in parte una spiegazione strutturale nel nanismo che da sempre è caratteristico delle imprese italiane rispetto ai principali competitors internazionali del real estate, un limite alla possibilità di competere sui mercati esteri, dall’altro è, invece, strettamente legata alle inefficienze del sistema Paese, ai nostri ritardi in ambito legislativo con una normativa sugli appalti complicata e poco chiara, alla mancanza di certezze per chi investe e si aggiudica un lavoro, con il proliferare di contenziosi tra imprese e nei confronti delle stazioni appaltanti ed, infine, ai tempi lunghissimi della giustizia amministrativa ai quali si aggiunge una stretta creditizia senza precedenti. La difficoltà dei grandi gruppi si è tramutata in fallimenti, procedure concorsuali e percorsi di amministrazione straordinaria dove nella migliore delle ipotesi a soffrire sono stati i lavoratori e le imprese affidatarie, sub affidatarie e i tanti fornitori ai quali non venivano più pagati integralmente i loro crediti. Alcuni grandi nomi hanno in qualche modo attirato l’attenzione del Governo e del tavolo di crisi istituito presso il MISE, dove alcune di queste sono tutt’oggi monitorate. Astaldi su tutti, ma la lista è molto lunga e comprende i principali gruppi industriali che hanno realizzato le opere in questo paese Tecnis, Condotte, CMC, per citare solo i principali. Un allarme vero che non va assolutamente sottovalutato. Eppure si fa sempre un gran parlare di grandi industrie che falliscono e chiudono, televisioni e giornali non parlano d’altro se Ilva o Alitalia sono in crisi e non diciamo che non sia giusto ma forse occorrerebbe occuparsi anche di altre grandi realtà produttive e concentrare le stesse energie quando un grande gruppo di costruzioni fallisce. Questo non per manie di protagonismo ma perché la crisi dei grandi gruppi di costruzione in Italia è un problema reale che si traduce in una paralisi dello sviluppo infrastrutturale. Un tema che ci vede già molto indietro e che potrebbe ulteriormente essere frenato per la
mancanza di soggetti in grado di realizzare o portare a termine nei tempi dovuti le infrastrutture presenti e future. Oggi, però, qualche segnale positivo sembra esserci e noi sindacati lo sosterremo con decisione, si tratta dell’iniziativa patrocinata da Salini Impregilo e CDP. Un nuovo progetto industriale denominato “Progetto Italia” che potrebbe finalmente sbloccare grandi infrastrutture di cui l’Italia ha immensamente bisogno, contribuendo a creare un grande gruppo di costruzione italiano in grado di competere sul mercato internazionale. Ma al di là della bontà di un modello di politica industriale di iniziativa privata che può dare qualche certezza sul lato strettamente esecutivo, è evidente come la prima cosa da fare sia quella di far ripartire le opere già finanziate e velocizzare le procedure di aggiudicazione per tramutare prima possibile in cantieri quei lavori. Purtroppo, da questo punto di vista, il nuovo Governo, almeno nell’ultima manovra di bilancio, non sembra aver colto questa urgenza, non avendo stanziato nessuna nuova risorsa nel sistema, ma essendosi limitato a ridestinare quelle non spese negli anni precedenti verso nuove iniziative.
Se la crisi globale e di sistema che ha coinvolto la nostra economia sembra essere superata, la carenza di investimenti nel settore delle costruzioni e delle infrastrutture ha impedito all’edilizia di riprendersi. Un settore che continua a pagare gli effetti della crisi e a scontare l’immobilismo politico degli anni passati, anni in cui gli investimenti sono stati dimezzati ed il settore completamente abbandonato. I numeri parlano chiaro. Basti pensare che nel 2007 il settore produceva circa il 11,6% del PIL mentre, oggi, solo l’8%, e mentre il calo medio degli investimenti totali dal 2008 al 2017 è stato pari al 26,3%, in l’edilizia si parla del 37%.
Dietro questi dati c’è tutta la debolezza dell’economia italiana segnata da una crescita del PIL vicina allo zero e dal segno meno negli ultimi due semestri dello scorso anno. Con 120 mila imprese che sono sparite e 600 mila posti di lavoro regolari persi, il nostro settore ha contribuito forse più di altri al rallentamento della domanda interna e alla tenuta del sistema bancario, messo a dura prova dalla solvibilità di imprese senza lavori e sull’orlo del fallimento, con l’esplosione di crediti erogati a operatori del settore finiti in sofferenza.
Ci troviamo di fronte a una difficile realtà economica e produttiva, resa ancora più critica da scelte politiche e legislative che, anziché favorire processi di sviluppo, hanno indebolito nel complesso le norme relative a trasparenza, regolarità, legalità e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti pubblici ne è la prova. Un decreto legislativo che di fatto non sblocca i cantieri né risolve le fragilità del settore e degli appalti pubblici, ma piuttosto aggrava la situazione, allargando le maglie a corruzione, illegalità e sfruttamento. È indubbio che le regole per gli appalti vadano snellite per consentire ad un’opera di essere completata bene e nel minor tempo possibile, evitando sprechi e scandali che da sempre rappresentano la drammatica quotidianità nel nostro paese. Ed è certo che senza una vera Riforma degli Appalti il settore resta bloccato ma ciò, a nostro avviso, non deve avvenire a discapito dei lavoratori e della qualità del lavoro. E su questi aspetti noi siamo pronti a confrontarci, avendo in più occasioni elencato le nostre proposte, sorte proprio dall’esigenza di qualificare il settore, impantanato in un sistema di regole incerte e confuse che creano spazio a criminalità e illegalità, penalizzando il lavoratore e causando concorrenza sleale e condizioni lavorative rischiose.
Il 2019 conferma, infatti, ancora una volta come in Italia esista un’emergenza legata agli infortuni sul lavoro, in particolare quelli mortali aumentati quest’anno già del 6% (il 12,8% dei quali nelle costruzioni), a cui si aggiunge il dramma delle malattie professionali. Ma il Governo precedente ha pensato bene di ridurre le risorse strutturali destinate all’INAIL per il finanziamento dei progetti di investimento, ammodernamento dei macchinari e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, mentre da tempo noi chiediamo un rafforzamento dei controlli ed un inasprimento delle sanzioni con l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro. A ciò si aggiunge la necessità di completare l’attuazione del d.lgs.81/2008 a partire dalla certificazione sulla qualificazione dell’imprese che operano nel settore. Perché la risposta ad un’emergenza come questa deve essere totale e definitiva e, di certo, togliere mezzo miliardo di euro dalle risorse per la prevenzione è un atteggiamento sbagliato e che non dimostra interesse verso i lavoratori, mentre la politica dovrebbe ripartire proprio dal rimettere al centro lavoro e lavoratori.
Una decisione inspiegabile che ci indigna e ci spinge ancora di più a chiedere un tavolo permanente con le parti sociali di settore, per affrontare, con il coinvolgimento dei ministeri interessati, tutti i temi connessi allo sviluppo, ma anche alla qualità del lavoro e dell’occupazione.
Noi, da parte nostra, attraverso il rinnovo dei contratti che in totale hanno coinvolto più di 1.553.000 lavoratrici e lavoratori dei settori edilizia, cemento, laterizi e lapidei, abbiamo ottenuto dei primi risultati, riscuotendo importanti avanzamenti sia sul piano del salario che del welfare e fornendo delle prime risposte ai cambiamenti che stanno completamente riconfigurando il settore, con particolare attenzione alla formazione dedicata alle nuove tecniche costruttive, ai nuovi materiali, all’industrializzazione 4.0 del cantiere.
Tra le principali novità c’è da segnalare l’istituzione per la prima volta di un fondo sanitario per gli edili, il Sanedil, un ulteriore tassello che arricchisce e potenzia il welfare e l’insieme delle tutele dei lavoratori, già garantiti dal mondo della bilateralità edile. Un sistema, quest’ultimo, prezioso, messo a dura prova dagli anni della crisi, ma che con i suoi 100 anni di storia resta ancora un formidabile strumento da rilanciare e valorizzare. E difatti nel nuovo contratto prende avvio una profonda riforma che punta al rafforzamento dei servizi per imprese e lavoratori grazie alla razionalizzazione dei costi e alla semplificazione delle sue determinazioni territoriali, con l’accorpamento in un unico soggetto degli enti di formazione e sicurezza. Viene, inoltre, potenziato il Fondo Nazionale per favorire il pensionamento anticipato ed incentivare l’occupazione giovanile al fine di consentire ai lavoratori più anziani di ritirarsi finalmente da un lavoro duro ed usurante e qualificare il settore anche con l’ingresso di lavoratori giovani.
L’ultimo contratto rinnovato è stato quello lapideo, il 31 ottobre, che completa il lavoro fatto sui tre settori industriali dei materiali per i quali era stata presentata un’unica piattaforma con l’obiettivo di iniziare un processo di integrazione tra i rispettivi CCNL. Obiettivo in parte raggiunto ad iniziare dall’impegno di costruire un unico sistema bilaterale per il settore dei materiali, dove rafforzare ed implementare le relazioni industriali e nel cui ambito verranno trattati temi legati alla responsabilità sociale d’impresa, alle pari opportunità e discriminazioni di genere, e agli inquadramenti professionali. Importanti avanzamenti sono stati ottenuti
per tutti e tre i settori produttivi sia sul piano del welfare contrattuale (previdenza complementare e sanitaria) che dei diritti e del salario, con importanti miglioramenti sul piano delle pari opportunità, benessere organizzativo, conciliazione vita – lavoro, e per tutto ciò che riguarda sicurezza e rispetto ambientale. Manca il legno per il quale siamo in una fase cruciale della trattativa che a breve dovrebbe arrivare ad un punto di svolta.
Nuove sfide ci attendono, l’innovazione ed il green rappresentano il futuro ma ci vuole coraggio e determinazione da parte di tutti perché sviluppo e qualità, crescita e sostenibilità vadano di pari passo. Manutenzione e messa in sicurezza sono esigenze impellenti ma che devono rappresentare anche occasioni per rilanciare lo sviluppo del Paese attraverso un’edilizia di qualità improntata al recupero e alla rigenerazione. Per fare questo occorre impegnarsi per una vera politica industriale nei settori dell’edilizia e dei materiali in grado di produrre maggiore occupazione di qualità, stabile e sicura, ben pagata. Il confronto con il governo è già iniziato e abbiamo avuto dei primi incontri ma occorre accelerare per spendere le risorse già stanziate che sono tante e potrebbero creare molti nuovi posti di lavoro. Ovviamente questo non sarà sufficiente. Occorre che il governo, come annunciato, intervenga al più presto su codice degli appalti e sblocca cantieri per correggere gli errori passati, tenendo conto delle specificità del nostro settore e delle peculiarità del nostro paese. Tante, quindi, le questioni sui tavoli e altrettante le nostre proposte che vanno dalla richiesta di limitare il subappalto a quella di ridurre il numero delle stazioni appaltanti, aumentandone e qualificandone il personale tecnico e amministrativo, dal ripristino del Durc nella sua formulazione originaria completandolo con la congruità (corretto rapporto tra manodopera impiegata, tipo di lavorazioni e costo dell’opera) al contratto unico di cantiere, fino alla patente a punti come sistema di qualificazione per le imprese.
Noi siamo pronti ma bisogna far presto, la gente è sempre più insoddisfatta da una politica fatta di slogan e promesse mai realizzate e chiede, invece, azioni concrete ed efficaci. Alla politica il compito di trovare nella confusione attuale le premesse per un nuovo ordine mettendo di nuovo al centro il lavoro.

di Vito Panzarella – Lavoro Italiano

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