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Rassegna. Crisi, contratto e bilateralità

10 marzo 2015 • Edilizia, News

Pubblichiamo di seguito l’intervento del Segretario Nazionale FENEALUIL – Emilio Correale sul house organ dell’Aniem

La stagione dei rinnovi contrattuali nazionali per i lavoratori edili, stipulati con tutte le Associazioni di imprese è oramai alle spalle, con tutto il suo carico di novità ma anche di contraddizioni e di tentativi di soluzioni, che hanno reso più complessa la strutturazione contrattuale in tutto il settore delle costruzioni.

Molte di tali soluzioni, soprattutto quelle istituzionali per ogni rinnovo contrattuale, contengono il chiaro presupposto del buon esito rispetto alle finalità con cui sono state concepite, perché dotate di effetti che già esprimono un’immediata efficacia e rendono poco dubbiosa la loro corretta esecuzione.

L’aspetto più importante e delicato è dato però dai provvedimenti contrattuali più innovativi che richiedono, invece, l’avvio di processi molto complessi, come quello che riguarda la riorganizzazione e la sostenibilità del sistema bilaterale, che potrà definirsi soltanto con la compartecipazione di tutti i soggetti e la loro necessaria convergenza sul piano più alto di una loro generale condivisione, ed è questa un’esigenza che ormai non può essere più nascosta e su cui non si può più essere reticenti.

Il principale problema comune, quindi, è quello di fare quadrato per contribuire a realizzare l’obiettivo comune della ripresa del settore delle costruzioni per farlo ritornare ad essere  fondamentale nell’assetto economico e motore propulsivo per lo sviluppo del nostro Paese.

Nel contesto politico e sociale italiano, infatti,  sono risultati sterili o poco efficaci tutti i tentativi messi in atto dagli ultimi Governi di riportare il Paese su un percorso di rapida ripresa e di effettivo rilancio economico, perché tesi soltanto a risanare i conti dello Stato attraverso una politica di austerità, spesso in modo fittizio, e non anche a riavviare la crescita e gli investimenti nel nostro Paese.

Nel corso del tempo si sono sedimentati drammaticamente i problemi relativi all’avviato processo di declino industriale, e si spera che tale processo non sia irreversibile. La conseguenza è stata la perdita di un numero impressionante di posti di lavoro, che solo nel nostro settore delle costruzioni, considerando tutto l’indotto, dal 2008 ad oggi, ha raggiunto la cifra spaventosa di 800.000 unità lavorative, ormai fuori dal ciclo produttivo.

Il Sindacato ha oramai preso coscienza che tale ripresa può avvenire soltanto attraverso una meditata, quanto condivisa, programmazione dello sviluppo, ed essa può avvenire soltanto sulla base del contributo e della compartecipazione di tutti i soggetti.

La partecipazione è l’essenza della democrazia, ma essa può essere sollecitata soltanto se viene garantita una reale giustizia sociale, fondata su una più equa e trasparente distribuzione degli sforzi da compiere.

Per questo sarebbe auspicabile che avvenisse in Italia ciò che si è verificato in altri Paesi europei che sono riusciti a realizzare il superamento di ogni degenerazione dell’individualismo e delle divisioni provocate dai contrastanti interessi di parte, riuscendo contemporaneamente ad aumentare la consapevolezza generale di quanto fosse più utile e vitale, sicuramente più virtuoso sul piano economico e sociale, diffondere il valore del bene collettivo.

In questo modo questi Paesi, a differenza dell’Italia, in cui permangono ancora i problemi dell’allineamento economico del Mezzogiorno, sono riusciti anche a uniformare i processi dello sviluppo sul territorio risollevando sullo stesso piano di benessere anche le aree più depresse ed arretrate.

L’Italia, così come altri paesi europei dall’economia più debole ed indebitata, ha bisogno come l’aria che si crei una situazione in cui non si acuiscano le tensioni sociali, ma si diano risposte alla crescente domanda di lavoro di chi lo ha perso e si dia prospettiva occupazionale più certa ai giovani, alle donne e agli immigrati.

Per un Paese libero e prospero non c’è futuro senza lavoro. E il lavoro si crea con una più corretta e trasparente gestione delle risorse occorrenti: esse devono essere ricavate dalla fiscalità che deve essere equa e solidale, devono essere sottratte ai vincoli della burocrazia e agli appetiti di chi è dedito alle attività illegali e, infine, devono essere finalizzate agli investimenti produttivi con rapidità di esecuzione e certezza della qualità del prodotto.

L’edilizia può essere una risposta alla crisi e giocare un ruolo centrale contro di essa, essendo da sempre un settore trainante dell’economia, capace di generare e moltiplicare ricchezza in tutti i settori ad essa collegati. Ma ciò, come da tempo ripetiamo, potrà avvenire soltanto attraverso un modello di sviluppo diverso dal passato, più rispondente ai bisogni sociali e alle necessità di un Paese messo continuamente in ginocchio dalle emergenze, alluvioni, frane e terremoti, dall’incuria e dall’abuso del territorio. Un’edilizia sostenibile e di qualità che sia orientata all’esigenze del cittadino e non alla speculazione di pochi, alla prevenzione e alla manutenzione, alla riqualificazione e al recupero, capace di innovarsi integrando fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Solo da questa prospettiva di cambiamento, che è già in atto e cui bisogna rispondere con necessaria prontezza, può derivare la ripresa delle costruzioni, cogliendo le enormi opportunità di sviluppo che ne derivano ma non senza il sostegno della politica, Governo e Regioni.

Le risorse messe a  disposizione con il Decreto “Sblocca cantieri” non sono sufficienti per far fronte all’attuale emergenza del settore. Occorrono risorse reali, non ipotetiche, ed è sempre più indispensabile sbloccare i vincoli del patto di stabilità  che continua ad impedire a Enti locali e alle Pubbliche Amministrazioni di spendere bene quelle che, pur esigue, comunque ci sono.

Perché il settore delle costruzioni possa assumere un ruolo attivo per la ripresa economica del nostro Paese c’è bisogno che siano messe a punto tutte le condizioni capaci di renderlo più dinamico e propulsivo. Per questo, anziché destrutturarlo, come qualcuno tra gli imprenditori vorrebbe, bisogna, invece, garantire gli strumenti in grado di favorire le imprese regolari e strutturate, che devono ritrovarsi ad operare in un mercato precluso a qualsiasi forma di attività illegale, lavoro nero e irregolare, tutelando in tal modo sia i lavoratori che le  imprese, che l’intera collettività.

Il settore delle costruzioni oggi è, invece, arrivato al culmine della più grave crisi di produttività che abbia mai conosciuto da quando nel corso degli anni, per merito delle forze sociali che lo compongono, ha conquistato una collocazione nel comparto industriale della piccola e media impresa e dell’artigianato, legittimandosi quale forza fondamentale dello sviluppo del nostro paese. Una crisi così acuta da devastare la stessa solidità del mondo associativo delle imprese edili, che proprio durante quest’ultima stagione dei rinnovi contrattuali si è mostrato, quanto mai, alquanto fragile e tentennante, ed anche confuso ed articolato, al punto di averci costretto a condurre le trattative nei singoli rinnovi nella maniera più difficile e sofferta, tanta era la diversificazione degli interessi rappresentati nella eterogenea composizione dei singoli tavoli delle trattative.

Ciò nonostante, però, questa contrattazione è riuscita a cogliere una serie di risultati di vitale importanza, individuando, pur nella complessità della loro attuazione, soluzioni connaturate con un’evidente, quanto necessaria, carica innovativa. Tali soluzioni hanno teso a salvaguardare i tradizionali e fondamentali istituti che hanno fin qui caratterizzato la storia contrattuale della nostra categoria, a cominciare dalla bilateralità, ma considerando anche la quantità e la qualità delle prestazioni assistenziali, il welfare sanitario integrativo, l’APE, ecc.

Garantire la conferma di questi istituti ha, però, comportato l’obbligo di individuare ed avviare per essi gli adeguati processi di riorganizzazione che si sono resi necessari, nei termini di una maggiore efficienza e della semplificazione degli Enti bilaterali, per dare ad essi la prospettiva certa della loro prosecuzione.

È questa una riforma che richiederà i suoi tempi e certamente dovrà tenere conto delle particolari condizioni su cui, nelle singole realtà, si sono sviluppate le politiche bilaterali, e, per questo motivo si rendono difficilmente codificabili quelle procedure che possono avere valore generale.

È certo, però, che non sarà possibile sfuggire alla necessità di attuare tale processo di riorganizzazione sulla base delle precise indicazioni contenute nelle intese contrattuali, se non si vuole mettere a repentaglio l’esistenza stessa degli Enti paritetici.

Questa stagione contrattuale, in definitiva, si è conclusa consegnando a tutte le parti sociali alcuni quesiti che risulterà vitale risolvere e sarà un bene porsi il problema tutti insieme: “in edilizia, considerando il comune interesse verso nuove forme di sviluppo del settore, ha senso mantenere l’attuale articolazione contrattuale, con ben quattro contratti nazionali da rinnovare con ben otto Associazioni di imprese?” Ed ancora: “la crisi che è in atto, e che è ormai giunta alla fase più acuta dal 2008, non  dovrebbe suggerire una più concreta semplificazione contrattuale, così come si è rilevato necessario per quanto riguarda la riforma della bilateralità?”

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