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Nessuna ripresa per l’edilizia

6 luglio 2015 • News

IN QUESTO NUMERO … VAI AL SOMMARIO  Lavoro Italiano di maggio 

NESSUNA RIPRESA PER L’EDILIZIA

L’ Articolo per Lavoro Italiano di Vito Panzarella

Da più parti sentiamo ogni giorno parlare di ripresa. Per l’Istat l’Italia è ufficialmente fuori dalla recessione e il prodotto interno lordo è previsto in accelerazione sull’arco di tre anni, ma restano forti le nostre perplessità sull’edilizia per la quale non possiamo affermare la medesima cosa.

Alcuni settori come quello delle costruzioni, punti di forza del Paese in passato, sono, infatti, ancora molto lontani dai livelli pre-crisi ed è veramente complicato riuscire ad intravedere la fine del tunnel in cui siamo precipitati. La crisi ha messo in ginocchio il settore delle costruzioni, che ha perso 1/3 del suo valore con la scomparsa della metà dei lavoratori, la chiusura di migliaia di piccole aziende in tutta Italia e l’aumento smisurato di irregolarità, lavoro nero, grigio e precarizzazione. Una catastrofe complicata in particolare da due ordini di motivi: in primo luogo l’eccezionale recessione che ha colpito la domanda interna e il credito, e che si misura nella drammatica riduzione della capacità di investimento di famiglie, imprese e pubblica amministrazione. Basti pensare che gli investimenti sono diminuiti tra il 2007 e il 2014 del 35%. In secondo luogo c’è da considerare il processo di riconfigurazione del mercato, guidato dalla riqualificazione, dall’energy technology e dall’integrazione costruzioni-impianti-servizi che ridisegna la mappa del lavoro e dell’offerta. Il processo di riconfigurazione in atto, e la crisi, inoltre stanno incidendo sulle dinamiche occupazionali ma anche sui contratti edili. Dai dati, infatti, si riscontra una pesante accelerazione dell’esodo dai Contratti nazionali degli Edili verso contratti più convenienti per le imprese, come quello metalmeccanico o elettrico, insieme alla presenza nei cantieri edili di “distacchi internazionali”, lavoratori “autonomi” che non sono altro che lavoratori  subordinati ma non dichiarati come tali e costretti a pagarsi da soli i contributi.

Gli unici segnali positivi provengono dagli interventi legati al recupero edilizio e all’efficienza energetica che, attraverso l’utilizzo dei bonus, hanno impedito la completa destrutturazione del settore. Mentre un pezzo della vecchia edilizia muore, le ristrutturazioni e la green economy rappresentano sicuramente un terreno su cui puntare, e siamo convinti che le detrazioni vadano rese strutturali e i bonus stabilizzati per riqualificare il patrimonio edilizio, ma da soli questi interventi non possono essere sufficienti a dare risposte adeguate ai lavoratori del settore e ad un Paese che avrebbe quanto mai bisogno di un gigantesco piano di interventi per la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio, e per la realizzazione di infrastrutture innanzitutto utili alla collettività. Un paese fragile il cui patrimonio storico – artistico pubblico è in gran parte a rischio, martoriato dal dissesto idrogeologico che periodicamente miete vittime e dove le aree ad elevata sismicità rappresentano il 9,8% della superficie nazionale, riguardando l’89% dei Comuni, su cui – ricordiamolo – sorgono 6.250 scuole e 550 ospedali.

Per queste ragioni continuiamo a chiedere con forza risposte concrete, capaci davvero di rilanciare la buona occupazione e di rispondere ai bisogni reali del paese. L’Italia necessità di opere utili e l’edilizia ha bisogno di investimenti per riavviare il proprio ciclo produttivo, che può rappresentare una leva per la ripresa dell’intera economia italiana, essendo essa un settore capace nel suo insieme di attivare impulsi che si riflettono e si amplificano all’interno del sistema economico su moltissimi altri settori.

Nel pieno dell’ottavo anno di crisi sono oltre 700mila i lavoratori persi nel settore delle costruzioni considerando tutto l’indotto, e, ad oggi, i dati registrati dall’Osservatorio Casse Edili continuano ad essere impietosi e a gridare urgenti ed imponenti interventi:  dal 2008 al dicembre 2014 registriamo -48% di ore lavorate, -45% di lavoratori, -38% di imprese e -41% di massa salariale. Ma non basta la crisi a bloccare il Paese, a completare il quadro disastroso di un settore in stallo si aggiungono poi i numerosi scandali avvenuti nel sistema degli appalti e messi in luce dalle tante inchieste dei mesi scorsi. Come evidenziato dal Rapporto sulla Legge Obiettivo di Cresme e Camera dei Deputati, la corruzione nel nostro Paese è elevatissima a tutti i livelli e mostra i suoi effetti devastanti che per anni hanno bloccato l’Italia riportandola indietro di anni. A 14 anni dalla legge obiettivo, infatti, solo l’8% delle grandi opere è stato completato con una lievitazione dei costi pari al 40%.

Lentezza burocratica, incapacità da parte della Pubblica Amministrazione a progettare in maniera definitiva, costi quasi raddoppiati delle opere programmate, e solo in parte finite, mostrano chiaramente come non sia più rinviabile una riforma del codice degli appalti che punti a ridurre il numero delle stazioni appaltanti, privilegiare il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, migliorare e confermare l’esclusione dal massimo ribasso dei costi per la sicurezza e per il lavoro individuati tramite la congruità. Inoltre noi chiediamo l’applicazione di un unico contratto nel cantiere che limiti l’attuale invasione di altre tipologie contrattuali ed equipari tutte le diverse tipologie di lavoro. Molte sono, infatti, le aziende che adottano impropriamente contratti di altro tipo, pur svolgendo lavori edili, allo scopo di risparmiare ed avere un minor costo del lavoro, finendo per non tutelare adeguatamente i lavoratori già esposti ai tanti rischi legati alla loro tipologia di mansione. Tutte queste distorsioni ed escamotage a danno dei lavoratori e della loro professionalità vanno eliminati per riportare in primo piano i diritti dei lavoratori in un settore colpito quantitativamente e qualitativamente dalla crisi.  Altro tema centrale  è poi la parificazione dei costi tra lavoro autonomo e dipendente, anche alla luce dell’ anomala esplosione delle partite iva che si è registrata nel settore in questi ultimi anni.

Abbiamo chiesto più volte di essere ascoltati dal governo che, al di là degli annunci, con i suoi interventi ha finito per indebolire ulteriormente  il settore colpendo strumenti come il Durc – Documento Unico di Regolarità Contributiva, necessari a garantire la regolarità nel settore. Le nostre proposte mirano a rilanciare la qualità e la sostenibilità dell’edilizia, che necessariamente deve rimettersi in moto secondo un nuovo modello, diverso dal passato, in una prospettiva di radicale cambiamento, nel segno dell’innovazione nei cantieri e nelle imprese, nel rispetto dell’ambiente e dell’efficienza energetica, cavalcando l’onda delle sfide e delle opportunità che l’altra faccia della crisi offre. Chiediamo, inoltre, di intervenire nella lotta alle infiltrazioni mafiose, sull’estensione universale degli ammortizzatori sociali con pari dignità al lavoro edile, e di modificare la legge Fornero per non discriminare quei lavoratori, come gli edili, che hanno discontinuità produttiva e che sono costretti a sessant’anni ancora a salire su  un’impalcatura tenuto conto, tra le altre cose, che la principale causa di morte nel settore risulta essere proprio la caduta dall’alto.

Sul tema degli investimenti e dell’avvio delle opere è innegabile che alcuni interventi siano partiti, ma ancora una volta siamo costretti ad affermare che non sono sufficienti come gli interventi per il dissesto. A spingere sulla ripresa nel 2015 potrebbe incidere la crescita degli investimenti in opere pubbliche, prevista del 2%, ma ciò dipende in gran parte dall’auspicato successo dei  provvedimenti per il rilancio dell’economia quali lo Sblocca Italia e la Legge di Stabilità 2015, che purtroppo sono ancora fermi agli annunci.

Per noi resta, dunque, fondamentale legare il tema dell’occupazione alla qualità della stessa, avendo la crisi fortemente intaccato un sistema di diritti che pensavamo acquisiti. Piani di investimento ma anche gestione trasparente del denaro pubblico, evitando gli sprechi che hanno costellato la politica della legge Obiettivo e favorendo il lavoro di qualità, sostenibile e sicuro e su questo siamo convinti che il sindacato potrebbe giocare un ruolo determinante come finora ha fatto.

 

 

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