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Studio Uil sui voucher, tracciabillità non basta: stretta sui settori d’impiego

3 maggio 2016 • News

 LAVORO: UIL, IN 8 ANNI VENDUTI 302 MLN VOUCHER, TRACCIABILITA’ NON BASTA
studio dal 2008 al marzo 2016 – serve tetto annuo compenso
erogabile e stretta su settori impiego

Roma, 3 mag. (Labitalia) – Dal 2008 al 2015 i voucher venduti hanno
sfondato quota 277 milioni 193mila. A questi vanno aggiunti i 25
milioni venduti nel primo trimestre 2016 per un totale astronomico che
supera i 302 milioni di assegni. Il compenso medio annuo per il
lavoratore (che percepisce 7,50 euro su 10 euro di valore nominale) si
aggira sui 500 euro netti come da media ‘trilussiana’. Sono Lombardia,
Veneto ed Emilia Romagna le regioni al top per assegni-lavoro venduti
mentre Roma e Torino si piazzano in pole position tra le province più
voucherizzate. E’ uno studio Uil a fare il punto su questo strumento
varato 13 anni fa ma ora prepotentemente tornato alla ribalta per la
mole di assegni utilizzati che originariamente avrebbero dovuto
coprire i costi del lavoro accessorio, dalle baby sitter ai
giardinieri. E’ proprio la quantità utilizzata, in rapida crescita da
un anno all’altro, infatti, e l’ampliamento del campo di applicazione
al commercio, al turismo e ai servizi che insieme utilizzano il 43,6%
dei voucher venduti ad indicare al sindacato un evidente uso distorto
dello strumento nato per combattere il sommerso. Per questo, come
spiega il coordinatore dell’indagine, il segretario confederale
Guglielmo Loy, intervenire solo sulla tracciabilità come sembra
orientato a fare ormai il governo “non basta”.

“Non sarà sufficiente una comunicazione esatta di inizio e fine
attività lavorativa, ma diventa necessario rivedere, in senso
restrittivo, i settori d’impiego e la tipologia di committente”,
prosegue aggiungendo alla lista dei desiderata anche l’esigenza di
“prevedere?un tetto annuo di compenso erogabile indipendentemente dal
numero dei prestatore di lavoro”. La “stravagante” normativa sul
lavoro accessorio,infatti, prevede che il lavoratore,
indipendentemente dal numero dei committenti per cui lavora, non possa
superare un compenso annuale di 7.000 euro ma nessun paletto è
previsto, invece, per le aziende, o il singolo datore di lavoro, che –
spiega la Uil – “potrebbe così poter disporre di ”tutta” la forza
lavoro pagandola con i voucher” e vanificando l’obiettivo antievasione
della norma. “Se il 70% dei voucher è utilizzato in settori di
produzione ordinari, il rischio è quello di una riduzione di tutele
più che di lotta al sommerso: perchè un committente dovrebbe stipulare
un contratto a tempo determinato full time con tutti gli oneri e i
costi che ciò comporta (13°, 14° mensilità, Tfr, ferie, malattia,
maternità, contribuzione, disoccupazione, tasse, etc.), se può
chiamare un ‘voucherista’ e pagarlo 7,50 euro l’ora senza costi
aggiuntivi?”, si chiede ancora Loy seppur retoricamente.

La controprova d’altra parte per il sindacato sta tutta nei numeri che
emergono sovrapponendo l’andamento dei voucher a quello dei contratti
a tempo indeterminato in part-time e alle domande di disoccupazione
oltre che alle cessazioni di lavoro brevi, massimo 1-3 mesi:
“dall’analisi infatti, risalta immediatamente come l’utilizzo dei
voucher cresca significativamente nei periodi caratterizzati da
stagionalità in particolare nelle realtà territoriali a forte
vocazione turistica e, contemporaneamente, vi è il progressivo calo
delle domande di disoccupazione”. Un ulteriore campo di osservazione è
quello del part-time che registra un andamento in linea con quello dei
voucher”, si legge ancora nel Rapporto. L’adozione dei voucher dunque,
conclude la Uil, ha ” favorito una certa emersione dal lavoro nero” ma
ha anche sicuramente prodotto “una crescita dei working poor”: nel
2015 se ne contano circa 1,4 milioni. “Un dato che equivale a metà dei
disoccupati, ma a volerlo rendere maggiormente significativo, equivale
al totale delle donne in cerca di occupazione in Italia, con una
crescita del 35,7% rispetto al 2014”, conclude Loy.

 

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